La scelta di Nicoletta

Una tiepida giornata d’inverno, un tempo rara a gennaio, ha accolto i No Tav, che hanno dato vita ad un corteo vivace e plurale che ha attraversato il centro di Torino da piazza Statuto a Porta Susa.
C’era il popolo No Tav, c’erano tanti solidali da fuori regione, c’era un vivace e partecipato spezzone anarchico promosso dalla Federazione Anarchica Torinese.
Erano trascorsi solo 12 giorni dall’arresto di Nicoletta Dosio, attivista della prima ora nella lotta al super treno, rinchiusa nel carcere delle Vallette il 30 dicembre. La sua vicenda ha suscitato ampia indignazione e mosso un vasto movimento di solidarietà, concretatosi in presidi, cortei, proteste in valle e in ogni dove. Migliaia di persone sono scese in piazza per la libertà di Nicoletta e di tutti gli uomini e donne investiti dalla repressione per la propria partecipazione alle lotte sociali.
Nicoletta ha rifiutato di chiedere le misure alternative al carcere. La condanna ad un anno le è stata inflitta per un’azione collettiva di apertura dei caselli autostradali della A32, mentre la polizia stava allargando il cantiere/fortino di Chiomonte. Nicoletta con questa scelta prova a mettere a nudo la macchina che giorno dopo giorno macina le vite di chi non si arrende ad un ordine sociale basato sulla logica feroce del dominio e del profitto. Chi ha tentato di depotenziarla, cercando di dare alla sua storia il carattere dell’eccezionalità con appelli alla grazia presidenziale si è subito incagliato di fronte al suo fermo rifiuto.
Nella lettera scritta dal carcere e letta in piazza lei scrive: “Sappiamo che non c’è più tempo. Bisogna agire qui e ora per evitare la catastrofe sociale e ambientale, ‘ridestando i morti e ricostituendo l’infranto’ che la follia del capitale lascia dietro di sé ‘nella quotidiana dimostrazione e saccheggio che esso chiama progresso’. È il momento di essere lucidi e irriducibili, di mettere in pratica il coraggio e la tenerezza che abbiamo imparato nei giorni indimenticabili delle Libera Repubblica della Maddalena, un’esperienza che ci ha creato legami indissolubili da ogni parte del Paese, anzi, del mondo. La solidarietà che può salvarci è quella che sa farsi coscienza critica, ribellione attiva al sistema di cui la mia vicenda non è che la cartina di tornasole: il tribunale che impugna le bilance della legge è l’altra faccia della guerra all’uomo e alla natura. Quella guerreggiata con le armi contro i ‘popoli di troppo’, con le ruspe contro i territori destinati ad essere corridoi di traffico per merci, capitali, grandi sporchi interessi; con la guerra tra poveri contro la solidarietà che fa vivere con manganelli, lacrimogeni e manette contro le popolazioni che, in nome del diritto alla vita e all’autodeterminazione, alzano le barricate della resistenza e del conflitto.”
Quel giorno sull’autostrada eravamo in tanti. E tanti siamo stati sui sentieri e le strade della lotta No Tav. I No Tav hanno praticato, sostenuto ed appoggiato la pratica dell’azione diretta contro il cantiere e le ditte collaborazioniste, i blocchi delle strade e delle ferrovie, lo sciopero generale, le grandi marce e i sabotaggi. Migliaia di noi sono stati sottoposti a procedimenti giudiziari e condannati per aver partecipato ad un movimento che non ha mai accettato di ridursi a mero testimone dello scempio.
Oggi, l’apertura dei cantieri per la realizzazione della nuova linea ad alta velocità ferroviaria, che consegnerà la Val Susa al destino di corridoio logistico per le merci, è ormai molto vicina.
Siamo prossimi al punto di non ritorno. La vita degli abitanti potrebbe cambiare per sempre. Camion carichi di smarino e polveri d’amianto percorreranno la valle a est come a ovest, mettendo a repentaglio la salute di tutti. Il dispositivo militare investirà poco a poco anche zone densamente abitate. La lucida profezia fatta quasi 30 anni fa dal movimento No Tav rischia di trasformarsi in dura realtà.
Una realtà che appare in tutta la sua crudezza dopo la lunga sbornia a 5Stelle. I giochi elettorali hanno inghiottito enormi energie, senza alcun risultato, se non quello di sottrarre forze all’azione sul territorio, al confronto sulle strategie per mettere in difficoltà l’avversario. La delega e la paura sono state le armi usate per piegare i No Tav. Disinnescarle spetta a ciascuno di noi.
La danza dei manganelli e dei lacrimogeni e il tintinnare di manette sono stati la cifra di questi anni. E non solo in Val Susa, ma ovunque movimenti di lotta abbiano scelto la strada dell’azione diretta e dell’autogestione. La grande favola della democrazia si è sciolta come neve al sole. Ogni volta che libertà, solidarietà, uguaglianza vengono intese e praticate nella loro costitutiva, radicale alterità con un assetto sociale basato sul dominio, la diseguaglianza, lo sfruttamento, la competizione più feroce, la democrazia mostra il suo vero volto. La democrazia reale ammette il dissenso, purché resti opinione ineffettuale, mero esercizio di eloquenza, semplice gioco di parola. Se il dissenso diviene attivo, se si fa azione diretta, se rischia di far saltare le regole di un gioco feroce, la democrazia si fa discorso del potere che nega legittimità ad ogni parola altra. Ad ogni ordine che spezzi quello attuale.
In questi anni i governi, non volendo più offrire ammortizzatori dello scontro sociale, hanno affinato un apparato di leggi che mira a colpire sempre più duramente l’opposizione sociale e a trasformare la stessa povertà in reato. I due ultimi pacchetti sicurezza sono solo la punta aguzza e tagliente di un enorme iceberg. Stanno attuando un vero diritto penale del nemico. Il concetto di guerra interna è divenuto “normale” nel discorso politico. Una normalità che ha comportato una profonda revisione del diritto liberale e dei principi cui si incardina. Se il cittadino è il soggetto del diritto, responsabile individualmente di condotte che rompono le regole del gioco, definite dall’apparato legislativo e giudiziario, il nemico non può essere né cittadino, né titolare di diritto. Il nemico in guerra può e deve essere annientato.
La guerra interna è terra di nessuno, luogo fisico e simbolico, dove la nozione di nemico si estende ad alcune categorie di cittadini e di non cittadini non belligeranti.
Il diritto penale del nemico implica un livello repressivo differente, che investe singoli e gruppi sociali e politici, per quello che sono, non per quello che fanno. L’elaborazione dell’immagine del nemico, di chi è colpevole perché c’è, perché la sua stessa esistenza rappresenta una minaccia, è un processo durato decenni. Un processo che mina alla radice la nozione di “diritti umani”, per trattare alcuni umani come gli animali non umani.
Lo straniero è il nemico interno che è estraneo alle “nostre” regole, alla “nostra” civiltà. Non merita le garanzie liberali, perché non fa parte del “nostro” universo culturale. Non viene escluso, perché è già fuori, estraneo, straniero per sempre. Nemico è anche l’oppositore radicale, chi rifiuta le regole del gioco. Nemici sono i poveri, privi delle tutele garantite dal compromesso socialdemocratico, vuoti a perdere, fuori dagli equilibri sociali e, quindi, pericolosi. Una prospettiva che ricorda da vicino il nazismo: il nemico da annientare è il cittadino privato della cittadinanza perché ebreo e quindi straniero, è il rom ariano deviato e divenuto criminale perché meticcio, è l’omosessuale, che viola la legge di natura, è la donna che rifugge i ruoli che le sono prescritti dalla religione, l’oppositore politico che va contro la storia.
La nozione di “pericolosità sociale” diviene il perno su cui girano provvedimenti di sospensione extragiudiziaria della libertà, norme che prevedono la responsabilità collettiva e l’inasprimento delle pene per chi partecipa alle lotte. La scelta di Nicoletta di non “chiedere” allo Stato un’attenuazione della pena, ma di rivendicare la sua e la nostra storia entrando in carcere, contribuisce all’impegno urgente di svelare le maschere della democrazia. Nel 2005 in Val Susa si vinse rendendo ingovernabile la valle. Si vinse perché la partecipazione diretta andò ben al di là delle soggettività politiche più radicali: trattare da nemici anche tanti semplici cittadini in quel momento non era facile.
Rendere ingovernabile questo mondo è possibile. Ma non è certo facile. Sui tanti terreni di lotta in cui siamo impegnati la forza di movimenti radicali ma radicati può inertire la rotta.
Solo l’azione diretta, senza deleghe, può creare le condizioni per fermare ancora una volta la corsa folle di chi antepone il profitto alla vita e alla libertà di tutti.
M.M.

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